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IL CONSUMO DI CARNE

L’aumento del consumo di carne

Il consumo globale di carne è in aumento e questa scelta alimentare incide profondamente sulle emissioni di gas serra, sull’impatto negativo sull’ambiente e sulla nostra salute. Il consumo di carne, si legge in un report di Science, sta aumentando in relazione non solo alla crescita della popolazione, ma anche a quella del reddito medio individuale, una tendenza destinata a influire in modo importante sulle emissioni inquinanti e sulla perdita di biodiversità.

 

La crescita dei consumi non è equamente distribuita nel mondo

In molte nazioni ad alto reddito è statica o persino in calo: alcune, come il Regno Unito, hanno già raggiunto il "picco" massimo di acquisto e stanno ora entrando in una fase discendente. Nei Paesi ancora poveri il consumo di carne è rimasto talvolta troppo basso, ma è in quelli emergenti e a reddito medio, come la Cina e altre nazioni asiatiche, che il fenomeno è in forte aumento: la scelta cade soprattutto sulla carne derivata dal pollame e dai suini.

Effetti sulla salute

Due in particolare sono gli effetti: il rischio di cancro del colon-retto e quello di patologie cardiovascolari. Responsabili di queste conseguenze sull'organismo potrebbero essere il ferro, largamente contenuto nella carne, o i nitrati usati nella lavorazione, ad esempio, degli insaccati cui è associato anche il rischio di sviluppare diabete mellito di tipo 2. Un altro fattore di rischio è costituito dall’utilizzo significativo di antibiotici negli allevamenti intensivi che spesso provocano la diffusione di infezioni da microorganismi antibiotico-resistenti legate al consumo di carne nell’alimentazione.

 

Le emissioni di gas serra

Stando a un recente rapporto di Chatham House, organizzazione non governativa britannica che promuove analisi e riflessioni sulle questioni di maggiore attualità internazionale, l'industria del bestiame è responsabile, da sola, di più emissioni dannose di quelle prodotte dal settore trasporti. I gas serra di origine antropica (anidride carbonica, metano, protossido di azoto) derivanti dall'allevamento di bestiame destinato al macello o alla produzione di latte e formaggi equivalgono al 14,5% del totale; quelli causati dal trasporto aereo, su ruote, navale e ferroviario corrispondono a circa il 13 del totale. Eppure, se sulla voce trasporti si stanno attuando politiche ambientali valide, poco si sta facendo, a livello politico, per ridurre il consumo di carne tra i consumatori.

 

La perdita di biodiversità

Il settore è responsabile della perdita di biodiversità, perché foreste e aree incontaminate cedono il passo a terreni a uso agricolo, in cui coltivare mangimi da destinare al consumo animale. Basti pensare alle sconfinate monocolture di soia e mais impiantate dopo aver deforestato e spogliato le popolazioni indigene di terre e fonti alimentari. Ad essere importante è il fatto che oltre un terzo della superficie delle terre emerse del pianeta è utilizzata esclusivamente per nutrire animali da reddito. Il report food system impacts on biodiversity loss presentato da UNEP, CIWF e Chatham house sugli impatti del sistema alimentare rispetto alla perdita di biodiversità ha evidenziato che per fermare la perdita di biodiversità occorre un cambiamento radicale della dieta, indirizzato verso un minor consumo di carne  e un maggior consumo di vegetali, oltre alla diminuzione dello spreco alimentare.

 

L’impatto sulle risorse idriche

Quasi un terzo del consumo d'acqua nelle attività umane è impiegato per l'allevamento di animali da carne, senza considerare le "cattive pratiche" che finiscono con l'inquinare le falde.

 

Domanda in aumento

Il consumo medio di carne a persona secondo Science è quasi raddoppiato negli ultimi 50 anni e  siamo passati da 23 kg circa all'anno nel 1961 a 43 kg nel 2014. In Italia, secondo il rapporto della Coldiretti  il consumo è di 79 kg  pro capite all’anno. In base al rapporto di Chatham House, il consumo di carne è infatti destinato a salire anche del 75% entro il 2050; quello dei latticini potrebbe aumentare del 65%, quello di cereali del 40%. Nel 2020, soltanto la Cina potrebbe consumare 20 milioni di tonnellate di carne e latticini in più all'anno rispetto ad oggi. Ed è proprio ai mercati emergenti come quelli di Cina, India, Brasile e Sudafrica che si guarda con maggiore preoccupazione. Anche secondo alcune proiezioni delle Nazioni Unite, entro la metà del secolo il consumo globale di carne aumenterà del 76%: il consumo di pollo raddoppierà, quello di manzo crescerà del 69% e quello di suino del 42%.

 

L'impatto della carne rossa

L'allevamento di bovini e la produzione di latticini costituiscono, da soli, il 65% delle emissioni dell'industria del bestiame. Per ridurre il nostro apporto alle emissioni inquinanti basterebbe consumare ridotte porzioni di carne (massimo due volte a settimana, specie per la carne rossa) inserendole in una dieta bilanciata, ricca di verdure, cereali e legumi, come previsto dai regimi alimentari sani e dalla dieta mediterranea.

 

L’inammissibile spreco di carne

Al consumo di carne è associato anche in modo significativo lo spreco alimentare. Su 263 milioni di tonnellate di carne prodotta a livello mondiale, più del 20% viene persa o sprecata.

 

Allevamenti intensivi, inquinamento ambientale e benessere animale

A fronte di una diminuzione del numero di animali complessivamente allevati in Italia, negli ultimi 10 anni si assiste ad un aumento della produzione intensiva con una maggiore concentrazione degli animali con tutti i guasti che questo comporta, specie in aree come la pianura padana, dove gli impatti negativi in termini di inquinamento di aria acqua e suolo sono significativamente elevati. Inoltre, il rispetto dei principi relativi al benessere animale negli allevamenti intensivi costituisce un fattore di evidente criticità. Basti pensare alle eccessive densità di allevamento con poco spazio, all’utilizzo delle gabbie, alla limatura dei denti per i suini. Risulta quindi necessario mettere in primo piano il metodo di allevamento con un’etichettatura volontaria univoca e nazionale che stabilisca regole e standard ben precisi  di salvaguardia e tutela degli animali allevati e nello stesso tempo renda i consumatori protagonisti della transizione ecologica verso sistemi di allevamento più sostenibili. In tal senso, gli allevamenti che applicano il metodo biologico sono quelli indubbiamente più sostenibili sia rispetto ai principi del benessere animale che riguardo all’impatto sugli ecosistemi e sull’ambiente e alla qualità della carne per il consumo alimentare.

 

COSA CHIEDIAMO AL GOVERNO ITALIANO

 

Diminuire sensibilmente il consumo di carne a favore di un maggiore consumo di alimenti vegetali come verdura, frutta e legumi. Un’alimentazione equilibrata, come previsto dalla dieta mediterranea, favorisce la salvaguardia della biodiversità e al tempo stesso la tutela della salute. Risulta altresì importante privilegiare la carne tracciata, controllata e proveniente da allevamenti che applicano i principi basilari di benessere animale o che seguono il metodo biologico. Fondamentale è anche approvare un’etichettatura volontaria che garantisca il benessere animale, rappresenti un indicatore ombrello per la transizione ecologica dell’intero comparto zootecnico, informi chiaramente i consumatori sempre più attenti e sensibili rispetto alla qualità dell’allevamento effettuato e le caratteristiche nutrizionali della carne consumata.

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