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ENI, con il plauso di tutti i livelli di Governo, ha annunciato la costruzione a largo delle coste di Ravenna del più grande hub di cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica al mondo. La tecnologia si esplica attraverso la cattura del gas serra CO2 direttamente dagli impianti industriali e il successivo stoccaggio nel sottosuolo, approfittando di vecchi giacimenti di idrocarburi esauriti e asset dismessi nel ravennate.

Grazie all’impianto di Ravenna si prevede lo stoccaggio di 300-500 milioni di tonnellate di CO2. Ma dietro ad un progetto che sulla carta risulta avveniristico e risolutivo si celano pericoli di grande portata.

Infatti, la pratica di catturare la CO2 direttamente dagli impianti industriali e di iniettarla all’interno di serbatoi naturali in profondità, permette anche di mantenere elevata la pressione del serbatoio, incrementando quindi l’estrazione di idrocarburi da quei giacimenti in via di esaurimento che altrimenti non avrebbero le condizioni per poter fornire ulteriori metri cubi di gas o petrolio. Se da una parte Eni investe nella rimozione della CO2 emessa dalle proprie attività dannose, dall’altra va anche ad incrementare la produzione stessa di idrocarburi assicurandosi non solo nuovi introiti, ma anche rimandando la dismissione di quegli impianti non più produttivi e che quindi sarebbero dovuti andare a smantellamento con relativa bonifica delle aree.

Inoltre, è previsto che l’hub verrà finanziato accedendo ai fondi pubblici europei del Next Generation EU, servendosi della quota del 37%, assegnata allo sviluppo di progetti di energia rinnovabile ed efficientamento energetico, dei complessivi 209 miliardi di euro del Recovery Fund. Pratica che non trova giustificazioni, considerando il capitale che un colosso come ENI possiede.

Infatti, tra le strategie del colosso del fossile, quella di ottenere la produzione di idrogeno a partire dal gas metano, con successiva captazione della CO2 prodotta in questo processo (idrogeno blu). L’Europa intende puntare su questa risorsa, ma dobbiamo assicurarci che venga prodotta a partire da energia rinnovabile (idrogeno verde).

In definitiva, secondo il giudizio di esperti ed associazioni ambientaliste, come Legambiente e Greenpeace, il progetto non ha motivo di essere realizzato poiché dal punto di vista tecnologico si sta puntando su una soluzione molto complessa ed esageratamente costosa, perché ancora in fase sperimentale, e che non si tradurrebbe nemmeno in un significativo passo avanti per la lotta al cambiamento climatico guardando alla totalità di emissioni a livello globale stimate per il 2040 (oltre 39 giga tonnellate di CO2, secondo le previsioni dell’Agenzia Internazionale dell’Energia). Inoltre, come già evidenziato, questo impianto rappresenta un’ulteriore occasione per ENI di continuare con l’estrazione di idrocarburi, pratica ben distante dalla necessaria transizione energetica richiesta e finanziata dall’Unione Europea, che, per il territorio di Ravenna, dovrebbe esplicarsi nella dismissione delle piattaforme di estrazione di idrocarburi e contestualmente nell’installazione di parchi eolici e fotovoltaici on-shore e off-shore e sulle tecnologie di stoccaggio dell’energia elettrica.

 

PERCHÉ È UN NEMICO DEL CLIMA?

Perché rappresenta un pretesto per continuare ad estrarre idrocarburi e combinatamente sottrae ingenti fondi che potrebbero essere investiti in progetti di reale transizione energetica che puntino su tecnologie quali l’eolico, il fotovoltaico ed i sistemi di stoccaggio dell’energia elettrica. 

 

TIPOLOGIA DI INQUINAMENTO

Viene indirettamente perpetuato l’utilizzo di idrocarburi che rappresentano una fonte di inquinamento in tutte le matrici ambientali.